x86 sta arrivando al capolinea: riuscirà Intel a reinventarsi?
Il recente annuncio dei PC Copilot+ dotati di Snapdragon X Elite mette ancora una volta in discussione il futuro dell’architettura x86, che sembra sempre più in difficoltà nel settore client computing.
Era il 1978 quando Intel rilasciò un microprocessore destinato a passare alla storia, contraddistinto da una sigla tanto anonima quanto solenne: 8086. L’Intel 8086 è stato il primo processore Intel ad adottare quella che sarebbe diventata l’architettura di maggior successo dei decenni successivi: questa architettura si chiamava x86.
x86 è un’architettura di tipo CISC - Complex Instruction Set Computer – un’architettura estremamente flessibile e in grado di garantire elevate prestazioni con un numero di istruzioni relativamente ridotto. Una caratteristica questa che ha contribuito a decretare il successo dell’architettura - ma che non sarebbe bastata se un chip Intel non avesse avuto la fortuna di finire nel primo PC IBM del 1981. I PC IBM infatti - insieme al sistema operativo Microsoft DOS - sono stati la base del successo di Microsoft e della futura evoluzione dei PC Windows; questi PC sono nati e cresciuti su chip Intel x86. Quindi, se IBM non avesse scelto Intel come partner per la realizzazione dei suoi primi personal computer, oggi probabilmente l’architettura x86 non sarebbe così pervasiva nel settore PC.
E non era scontato che IBM scegliesse Intel; del resto, durante la progettazione del suo primo PC, l’azienda nota all’epoca per i suoi mainframe, aveva valutato seriamente l’utilizzo del Motorola 68000, la stessa CPU che tre anni dopo, nel 1984, sarebbe finita nel Macintosh; anzi, il Motorola 68000 - anch’esso di tipo CISC - era considerato la scelta migliore, ma venne scartato perché all’epoca il chip non era ancora pronto per la produzione.
L’Intel 8086
Così, per molti decenni l’architettura x86 di Intel avrebbe dominato il settore dei personal computer, grazie alla diffusione delle piattaforme IBM e compatibili con sistema operativo DOS prima, e poi, negli anni ’90, Windows. Aziende come Silicon Graphics, Sun, NeXT e altre, operanti soprattutto nel settore delle workstation, avrebbero usato altre soluzioni, ma tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 era chiaro che queste aziende si sarebbero dovute fare da parte. E quando nel 2006 anche i Mac adottarono i processori Intel x86, era ormai chiaro che l’intero settore dei personal computer, e a quel punto anche dei server e dei mainframe, sarebbe stato dominato interamente dall’architettura x86 di Intel. Nel frattempo però stava avvenendo una rivoluzione silenziosa.
Nel 1983 una piccola società britannica, Acorn, che aveva realizzato un computer per la BBC, iniziava ad essere in difficoltà nel trovare il suo spazio nel mercato, così il management decise di supportare un progetto interno con lo scopo di fabbricare un nuovo chip per migliorare le prestazioni dei propri computer. Questo chip - progettato da mano di dieci ingegneri - avrebbe adottato un nuovo set di istruzioni ridotte, al fine di garantire migliori prestazioni. Allo stesso tempo avrebbe dovuto consumare poco, per risparmiare sul costo totale dei componenti del computer che lo avrebbe dovuto utilizzare. Questo chip venne chiamato “Acorn RISC Machine”, o ARM. Quando divenne chiaro che l’azienda era in difficoltà, fu decretato di vendere la divisione ARM. Così, dopo molte ricerche, un investitore interessato venne alla luce: questo investitore era Apple, che nel 1990, insieme a VLSI technology, avrebbe contribuito a dar vita a una nuova società, oggi nota come ARM Holdings.
Il primo chip ARM
Da quel momento in poi, ARM sarebbe stata una società indipendente, e con un modello di business del tutto singolare. Anziché cercare di produrre chip uguali per tutti, la nuova società decise di concedere in licenza ad altre aziende la propria tecnologia e di aiutarle a creare dei chip su misura per le loro esigenze. Fu così che dopo un inizio molto lento, dovuto alla difficoltà di trovare partner interessati, a metà degli ’90 il business di ARM iniziò a decollare. I chip ARM - che inizialmente erano nati per rappresentare un’alternativa ad alte prestazioni alle soluzioni diffuse in ambito desktop - avrebbe fatto fortuna grazie ai sistemi embedded e ad una grande quantità di device che necessitavano di chip a basso consumo ma con prestazioni relativamente elevate. Fu così che nei prima anni 2000 i chi ARM trovarono posto, giusto per fare qualche esempio, su prodotti come i cellulari Nokia, il Game Boy Advanced e l’iPod. Ma è stato l’avvento dell’iPhone nel 2007 e dei telefoni Android l’anno successivo a fare la più grande fortuna di ARM; gli smartphone infatti nel giro di pochi anni avrebbero visto un numero di vendite incomparabilmente superiore a quello dei personal computer tradizionali. Intel si sarebbe poi pentita di non aver creduto nel settore mobile, perdendo un’occasione irripetibile per crescere in un nuovo settore in grande espansione. E oggi tutti i progressi compiuti negli anni nel settore mobile hanno permesso ai chip ARM di raggiungere prestazioni impensabili all’inizio della rivoluzione degli smartphone, prestazioni così elevate – a fonte di un consumo energetico così contenuto - che a partire dal 2020 ARM ha preso il posto di Intel x86 sulla linea Macintosh, e ora l’architettura nata grazie a dieci ingegneri nel 1983 è pronta a sbarcare sui PC Windows. Con l’annuncio, avvenuto lo scorso 20 maggio, dei primi PC Copilot+ basati sul chip Snapdragon X Elite di Qualcomm, ormai tutto il settore PC sembra pronto a passare ad ARM. Anche perché se pensiamo che la maggior parte delle vendite di PC è rappresentata dai notebook, è evidente che un chip in grado di garantire prestazioni elevate mantenendo però al tempo stesso un consumo energetico contenuto è una mossa vincente che tutti i produttori di notebook non tarderanno ad adottare.
Il futuro di x86 – e della stessa Intel, che ha investito tutto su questa architettura – appare ormai fosco. Per un po’ molti continueranno a preferire x86 ad ARM per una questione di compatibilità, anche perché rispetto al mondo Apple, quello PC fa sempre un po’ più di fatica in queste transizioni, per la difficoltà di far salire a bordo le software house quando i produttori continuano ad offrire le soluzioni legacy per non correre troppi rischi. E poi in ambito desktop i requisiti di efficienza energetica non sono così stringenti come per i notebook; pertanto, visto che faranno fede solo le prestazioni, è probabile che il passaggio ad ARM richieda un po’ più di tempo in questa categoria.
Eppure, ormai la direzione è tracciata. Chi ha provato i Mac con chip ARM sa che l’esperienza d’uso di un computer con ARM all’interno può essere molto più appagante di quella di un prodotto con x86. E gli stessi reference design mostrati da Qualcomm per il suono nuovo SoC hanno trasmesso ottime impressioni a chi ha avuto modo di provarli.
Intel quindi potrà vivere di rendita ancora per un po’, ma deve assolutamente trovare un modo per reinventarsi e restare sul mercato. Lo scorso anno ha provato a offrire un prodotto competitivo sul fronte notebook con Meteor Lake, ma abbiamo visto che le prestazioni della parte CPU sono deludenti, addirittura inferiori a quelle della precedente generazione, e sebbene l’efficienza nelle attività leggere sia migliorata, questi chip continuano ad avere consumi elevati quando vengono spinti, nonostante il nuovo processo produttivo Intel 4: i limiti dell’architettura x86 si stanno facendo sentire. Intel è comunque molto fiduciosa per la prossima generazione di SoC che vedremo alla fine di quest’anno, dal nome in codice di Lunar Lake, soprattutto per quanto riguarda il processore Neurale.
Tuttavia, nessuno ha detto che Intel non possa rivedere il proprio modello di business. Da sempre, infatti, Intel è un’azienda che progetta e produce internamente i propri chip; ma il CEO Pat Gelsinger ha già detto chiaramente che Intel sta lavorando per produrre chip per conto di terze parti nelle sue fonderie. E proprio le fonderie di Intel erano diventate il punto debole dell’azienda negli ultimi anni, provocando un grave ritardo nei piani di sviluppo. Un punto debole che però è tornato ad essere un punto di forza come un tempo dal ritorno, nel 2021, di Pat Gelsinger, che ha assunto il ruolo di CEO: una delle prime cose che ha fatto Gelsinger è stata quella di rimettere al centro dei piani dell’azienda la fabbricazione di semiconduttori nelle fonderie.
Se x86 troverà sempre meno spazio nei notebook, per Intel potrebbe diventare fondamentale essere competitiva nella produzione di microchip per attirare proprio quei clienti che le stanno sottraendo il mercato nei notebook: Apple e Qualcomm. Le quali oggi si rivolgono a TSMC, ma che un domani potrebbero decidere di avvalersi delle fonderie di Intel, anche per tutelarsi di fronte alle tensioni geopolitiche attorno all’area di Taiwan.
Ma stiamo correndo troppo. È meglio fermarsi e prendersela con calma. Nel momento in cui scrivo nessuno ha ancora potuto mettere le mani sui nuovi PC Copilot+ appena annunciati, perciò è meglio aspettare ancora qualche giorno e vedere se il nuovo SoC di Qualcomm sarà in grado di mantenere le promesse. Ma se ci riuscirà per gli utenti sarà un grande passo avanti. E Intel dovrà dimostrare di essere all’altezza della sfida. La partita non è ancora iniziata.