Ho provato a vivere tre mesi con Linux: ecco come è andata
Eccomi qui. È passato un po’ di tempo dall’ultima volta in cui ho scritto per questo sito e non sapevo come rompere di nuovo il ghiaccio. Ho avuto da fare nell’ultimo mese e questo mi ha portato via tempo e risorse metalli da dedicare alla scrittura. E non ha aiutato il fatto che Google si sia finalmente deciso a indicizzare le mie pagine da solo una settimana: non che aspiri ad essere letto dal mondo intero, intendiamoci, ma non mi andava tanto di scrivere per me stesso soltanto, perché così finisce per passare ogni motivazione. Comunque, come avrete visto questo sito è un work in progress, e in queste settimane sono giunto alla conclusione che riportare le news sia una perdita di tempo, perché non aggiungono nulla che dia valore al sito e richiedono comunque tempo per la stesura di un testo gradevole; ergo, ho deciso di diminuirne il numero per concentrarmi su pezzi e progetti più interessanti, che non siano roba da agenzia stampa. Per le news trovo invece più indicato il nuovo profilo su X (ex Twitter) che ho aperto recentemente, dove tra l’altro pubblico anche curiosità e brevi pensieri sempre inerenti al mondo tech.
Ma veniamo a Linux. La scorsa estate decisi di pormi una sfida: volevo vedere se sarei stato in grado di vivere per tre mesi solo con Linux, senza toccare Windows o macOS, per portare avanti tutte le attività che normalmente svolgo con il computer e per provare a toccare con mano quello che molti ritengono il miglior OS in circolazione.
Ma quale distro scegliere? Ora, come ben sapete, il modo Linux è un mondo vastissimo, con una quantità di distro e progetti pressoché infinita, dai più noti e usati, con interfacce grafiche complesse, come Ubuntu, Fedora, Mint e così via, a quelli più leggeri, che presentano interfacce a riga di comando o con GUI molto semplici, passando per le vie di mezzo, come Arch Linux. Ebbene, non abbiatemene a male, vi prego, ma io ho fatto il pigro e anche un po’ per paura ho scelto Ubuntu. Con buona pace dei fan Linux che se potessero si metterebbero a riscrivere da zero il kernel del loro sistema operativo.
Ubuntu, d’altra parte, non è un sistema particolarmente leggero, ha una GUI elaborata, ed è pieno di pacchetti che svolgono anche attività inutili, impegnando risorse e aumentando anche il rischio che qualche falla di sicurezza o qualche bug passi inosservato. Ma allo stesso tempo è una delle distro più usate, e gode di un ottimo supporto software da parte degli sviluppatori terzi, fattore quest’ultimo che mi ha spinto a scegliere, almeno per questa prova, Ubuntu.
A tutti coloro che dicono che Linux è difficile da usare ed è roba da informatici rispondo che basterebbe provare a installarlo per rendersi conto di quanto sia semplice. Io per sicurezza non ho cancellato Windows e ho deciso di installarlo su un’altra partizione in modo da poter fare dual boot in caso di problemi, pur con l’intento di non avviare mai Windows. La procedura di installazione è semplicissima: basta montare la ISO su una chiavetta, selezionarla come disco di avvio dal bios durante il boot e seguire la procedura di installazione, che si presenta con un’interfaccia grafica che è poi quella dello stesso sistema operativo. Se non abbiamo già creato una partizione apposita ci chiederà se vogliamo farla al momento, altrimenti è sufficiente selezionare la partizione prescelta e procedere a creare un account utente per il dispositivo e avviare l’installazione, che procede in modo automatico. Una cosa utile è la possibilità di provare a usare il sistema, senza installarlo, direttamente in RAM dalla chiavetta, in modo da verificare eventuali incompatibilità. Comunque, durante l’installazione il sistema scaricherà eventuali driver mancanti in modo che al primo avvio tutto funzioni già correttamente. Una volta terminata l’installazione ci troviamo davanti alla pagina di login: nel mio caso non ci sono stati problemi con i driver e tutto funziona alla perfezione.
Ma com’è usare Ubuntu? A livello di interfaccia c’è poco da dire, è una delle più curate sia dal punto di vista estetico che funzionale, e non ha molto da invidiare a Windows e macOS, anzi, a tratti ho avuto l’impressione di una interfaccia più curata e più coerente rispetto a Windows, che al contrario si porta dietro elementi ereditati addirittura dagli anni di Windows 9x. Se inizialmente usare un sistema nuovo può essere disorientante, perché non sappiamo dove trovare le cose, nel giro di pochi giorni ci si fa l’abitudine e si riesce a usare quasi con la stessa naturalezza di sempre, anche perché in fondo Ubuntu non ha un’interfaccia radicalmente diversa nel concetto da quella di Windows o macOS.
Ciò detto, il problema di Ubuntu non è l’interfaccia, ma il supporto software, che costringe a cambiare abitudini e forse un po’ anche a cambiare vita. Su Linux non ci sono le più comuni app che tutti usiamo: Chrome, Office, Adobe e molti altri non sono su Linux. Le alternative sono due: o si passa completamente alle web app, con tutti i limiti del caso, o si sposa l’opensource, che dovrebbe essere la prima scelta dell’utente Linux. Con il difetto però che le app opensource sono spesso limitate e per nulla user friendly, con una curva di apprendimento piuttosto lenta: in altre parole, Libreoffice non sarà mai al livello di Microsoft 365, e Gimp non sarà mai al livello di Photoshop. Per non parlare della procedura di installazione: se siete abituati ad aprire un installer con un click del mouse Linux potrebbe lasciarvi disorientati nel momento in cui scaricate un’app e non trovate l’installer. Questo perché tutte le app su Linux si installano con un comando da terminale: se non vi piacciono le righe di codice questo potrebbe infastidirvi. Tuttavia, come dicevo, Ubuntu non è proprio una distro minimale, e per non proprio minimale intendo che dispone di un vero e proprio store di applicazioni. Applicazioni che ovviamente non sono le solite a cui siamo abituati.
E le prestazioni? Beh, dimenticatevi Windows e dimenticatevi il bloatware: sarà perché sono partito con un’installazione pulita, ma questo è uno dei sistemi più reattivi tra quelli con un’interfaccia a finestre classica. Ho provato per curiosità a farlo girare su un vecchio PC con un Core i3-2320M, un Sandy Bridge dual core da 35 watt e 2.2 GHz, 4 GB di RAM DDR3 a 1600 MHz single channel e disco meccanico: non dico che sia fulmineo, ma è senza dubbio utilizzabile, mentre Windows sullo stesso PC è letteralmente inchiodato per 15 minuti dopo il boot per la saturazione delle risorse.
Ok, ma quindi? Alla fine ho quasi superato la sfida. Sono riuscito a svolgere tutte le attività su Linux, in parte, lo ammetto, ricorrendo alle web app per i compiti più da ufficio, in parte imparando a usare app opensource come Gimp. Dico che sono quasi riuscito perché c’è un’attività che mi ha costretto a uscire la da Linux: il video editing. Potete dire quello che volete delle app di editing per Linux, ma io non sono riuscito a trovare niente che si avvicini in termini di prestazioni e affidabilità a Resolve su macOS. E così di tanto in tanto ho dovuto rompere la regola che mi ero imposto di usare solo Linux.
Eppure, nonostante i limiti e le difficoltà sono ancora più convinto al termine di questo esperimento che Linux sia un sistema meraviglioso. Soprattutto è un sistema che restituisce all’utente il controllo del proprio hardware, non solo perché permette di avere un’idea chiara di cosa sta facendo la macchina, ma anche perché risponde in primo luogo agli input dell’utente, e non va a saturare le risorse con processi che per l’utente servono a poco. In altre parole, è perfetto per l’utente minimale, che vuole solo il software che realmente usa, e non tutto il resto. In altre parole, è meraviglioso nella filosofia che ci sta dietro, ma non particolarmente indicato per un utente generalista che con il PC fa un po’ di tutto. Eppure in qualche modo Linux è il sistema più usato al mondo: magari non ce ne accorgiamo perché vediamo solo il lato client, ma sul lato server Linux è senza dubbio il primo sistema al mondo. E poi è istruttivo, perché giocare con Linux permette di capire meglio come il software e l’hardware lavorano in sinergia.
Ma alla fine sono tornato a usare Windows, e sono convinto che Linux non sia per tutti: non per il sistema in sé, ma per il supporto software. La storia ci insegna che nel mondo delle applicazioni c’è spazio per soli due sistemi: il terzo può sopravvivere, ma non avrà vita facile.