Apple, Wall Street e Intelligenza Artificiale: una storia di aspettative e incomprensioni
Ormai quasi tutti si sono fatti l’idea che Apple sia rimasta indietro sull’intelligenza artificiale e che non sia più in grado di innovare, eppure tutte queste preoccupazioni nascono da un enorme equivoco, frutto di un successo finanziario senza precedenti che ora è diventato difficile replicare.
“Apple can’t innovate anymore! - Apple non è più in grado di innovare” – è il commento ormai storico che sentiamo incessantemente ripetere più o meno da quando Tim Cook prese le redini dell’azienda nell’ormai lontano 2011; un commento che all’epoca nasceva dal timore che senza il suo fondatore, Apple avrebbe perso la capacità di tramutare grandi idee in realtà. Ma poi hanno iniziato ad arrivare nuovi prodotti e servizi, così queste voci insistenti hanno iniziato a sparire, e - se escludiamo qualche eccezione - nel complesso la fiducia dimostrata in questi anni verso l’azienda è stata ai massimi livelli di sempre - soprattutto da parte degli analisti e della finanza - che tra il 2019 e il 2022 hanno visto ricavi e utili record, con ogni trimestrale migliore della precedente, al punto che più di qualcuno si è chiesto come avrebbe potuto Apple continuare a crescere a ritmi così elevati. E infatti, come tutte le altre big tech, anche Apple aveva beneficiato dell’aumento delle vendite avvenuto durante il periodo pandemico, salvo poi dover sbattere la faccia con la realtà, nei primi mesi del 2023, con il crollo della domanda unito a difficoltà nella supply chain non ancora del tutto risolte e un interesse che aveva ormai iniziato a spostarsi verso un nuovo fronte: l’intelligenza artificiale generativa.
Con il lancio di Chat-GPT alla fine del 2022 il mondo big tech è stato preso dal panico: così tutti i competitor, da Amazon a Google a Meta, sono corsi ai ripari per cercare di recuperare il terreno perduto sul fronte dell’intelligenza artificiale generativa, con enormi investimenti che li hanno portati a ridurre drasticamente il gap tecnologico con OpenAI e Microsoft, la quale sta investendo miliardi di dollari per assicurarsi la tecnologia di OpenAI. Tutti, tranne uno: Apple, che nell’ultimo anno e mezzo ha fatto discutere la finanza, i giornalisti e gli analisti del settore, che in tutti questi mesi si sono chiesti incessantemente cosa abbia intenzione di fare Apple per non perdere definitivamente il treno dell’IA generativa.
Anche perché nessuno interno all’azienda ha mai parlato di questo tema, fatto salvo un piccolo accenno da parte di Tim Cook durante un’intervista in cui ha fatto notare che i device dell’azienda sono ricchi di funzioni che fanno uso di intelligenza artificiale – seppur non generativa – funzioni che tuttavia non vengono etichettate come IA. E si tratta in effetti di un’ottima argomentazione: in questi mesi abbiamo assistito ai lanci di quasi tutti i principali smartphone top gamma Android per il 2024, e i produttori hanno riempito le presentazioni con il termine “intelligenza artificiale” fino allo sfinimento, per promuovere, tuttavia, anche funzioni che fino a un anno fa nessuno avrebbe pensato di presentare come intelligenza artificiale. Ma, si sa, il marketing spesso è tiranno, e se tutti i competitor parlano di intelligenza artificiale, non è possibile non fare altrettanto. Anche perché solo Samsung e Google hanno integrato veramente e in modo completo funzioni utili basate sull’intelligenza artificiale generativa (anche Honor ha fatto un buon lavoro, ma al momento solo per il mercato cinese).
Comunque, pur con riluttanza, anche Apple si è adeguata al gioco, e a marzo ha presentato il nuovo MacBook Air M3 come “il miglior portatile consumer per l’intelligenza artificiale”, anche se non ha nulla di particolarmente diverso dal modello precedente o tantomeno dai modelli “Pro”, ancora più performanti, presentati lo scorso anno. Anche se in questo modo di presentare il prodotto non c’è nulla di diverso da quanto fatto dai vari produttori di smartphone che hanno promosso i loro flagship come “AI Phones” negli scorsi mesi.
Eppure, in queste settimane tutte le testate economiche dei principali network americani e a volte persino quelle generaliste stanno parlando di cosa stia facendo Apple sul fronte dell’intelligenza artificiale generativa e se questa volta sia davvero troppo tardi per recuperare. Ma a ben vedere un elemento non irrilevante in questa discussione è stato il recente sorpasso in borsa da parte di Microsoft, che ora ha una quotazione superiore a quella dell’azienda di Cupertino, la quale svettava al primo posto da ormai molti anni. E il motivo è presto detto: gli azionisti ripongono grande fiducia nella possibilità di Microsoft di crescere grazie all’intelligenza artificiale, mentre Apple non ha ancora detto cosa intende fare in questo ambito.
Ma il nodo non è tanto che Apple non abbia ancora annunciato alcun piano: sarebbe più giusto chiedersi se internamente abbiano mai pensato di entrare in questo settore. Secondo Mark Gurman, di Bloomberg, uno dei principali analisti che segue Apple, l’azienda avrebbe sviluppato internamente un large language model chiamato “Ajax”, ma non sappiamo se sia una tecnologia pronta per diventare un prodotto, né tanto meno se sia mai stato un investimento di primaria importanza oppure solo uno dei tanti progetti di ricerca e sviluppo interni.
Quel che è certo è che Apple è stata presa in contropiede, non però sul lato della tecnologia, ma su quello di Wall Street, per due ordini di ragioni. Il primo motivo è che a Cupertino hanno un approccio molto particolare nello sviluppo del prodotto: la maggior parte delle big tech, infatti, ha la tendenza ad annunciare subito le nuove tecnologie e a darle appena possibile in mano al pubblico, anche se non sono ancora impeccabili, per poi eventualmente integrarle bene nei dispositivi. A Cupertino invece preferiscono sviluppare i progetti in casa finché non vengono ritenuti perfetti, e solo allora immettono i prodotti sul mercato, cercando di fare in modo che siano migliori di quelli dei concorrenti. È un approccio in cui soprattutto Tim Cook ha creduto moltissimo, e che ha funzionato benissimo negli ultimi anni, permettendo ad Apple di rimanere per lungo tempo l’azienda con la più alta quotazione di mercato al mondo. Il problema è che questo approccio non funziona molto bene con l’intelligenza artificiale, perché è un settore in cui non è facile recuperare anche un piccolo ritardo: chi parte prima è molto avvantaggiato.
La seconda ragione è che Apple è un’azienda che nonostante tutto resta legata al prodotto fisico, ed effettivamente l’intelligenza artificiale non ha molto a che fare con il core business di Cupertino. Del resto, Apple non è mai entrata nel settore dei motori di ricerca, e non è mai stata criticata per questo: ma la differenza rispetto ai primi anni dei motori di ricerca è che oggi Apple è una delle aziende più potenti al mondo, e le persone si aspettano una Apple all’avanguardia in tutti i settori, non solo su telefoni e computer che, spiace dirlo, sono sempre più delle commodity.
Ed è proprio questo il problema di Apple: ha fatto fortuna con il Mac prima e con l’iPhone poi, ma ora che questi prodotti sono sempre più delle commodity deve cercare nuove strade per accontentare gli azionisti che chiedono risultati sempre più elevati e soprattutto commisurati alle dimensioni dell’azienda. Perché non è impossibile avere successo vendendo commodity, basta seguire l’esempio dell’industria dell’abbigliamento o delle calzature, tuttavia è difficile rimanere l’azienda più quotata al mondo in questo modo.
Così, mentre le vendite dei principali prodotti stagnano e metà dei ricavi dell’azienda provengono tuttora dall’iPhone – mettendola in una situazione molto pericolosa, perché se l’iPhone dovesse perdere appeal sarebbe un colpo difficile da sostenere – alla società restavano solo due progetti su cui fare affidamento, ora solo uno: il primo, e anche il più importante, è l’Apple Car, ma ormai è evidente che il progetto è stato annullato, dopo aver speso svariati miliardi in ricerca e sviluppo. Il secondo è il Vision Pro: ora fondamentale che il visore diventi un prodotto di successo, e ha in effetti tutte le carte in regola per esserlo.
Ma qui veniamo alle ultime notizie: pare che Apple sia vicina a un accordo con Google per portare il modello Gemini sui suoi dispositivi. Questa sarebbe, se vera, una notizia in grado di cambiare le carte in tavola: come oggi i device di Apple si basano su Google Search per la ricerca, potrebbero evolversi e basarsi su Gemini per l’intelligenza artificiale generativa, magari integrata a livello di sistema. Questa soluzione risolverebbe ogni problema, perché quello che conta non è che Apple abbia un suo modello linguistico, ma che l’iPhone e gli altri prodotti traggano vantaggio dall’IA per avere appeal sul mercato. E proprio perché Apple è un’azienda che realizza prodotti, sarebbe un’ottima idea quella di demandare a terzi alcuni servizi oltretutto onerosi per l’azienda, esattamente come fatto di recente da Samsung. Per poi, magari, sviluppare internamente alcuni modelli, per esempio per rendere Siri più intelligente, anche perché una Siri più intelligente sarebbe un fattore chiave per elevare l’esperienza d’uso del Vision Pro.
Quindi tutto questo dibattitto nasce da un enorme equivoco, causato dalle aspettative degli azionisti, i quali temono che l’azienda non riesca più a crescere come negli anni scorsi, mentre Apple è un’azienda che produce hardware a cui però viene chiesto di crescere allo stesso ritmo di aziende che lavorano nel settore dei servizi cloud e dell’intelligenza artificiale. Ora che gli smartphone potranno sempre meno sostenere questa crescita, Apple dovrà trovare nuove strade per crescere ancora, e probabilmente a Cupertino hanno qualche asso nella manica. Ora gli occhi sono puntati sulla WWDC, la conferenza degli sviluppatori che si terrà il prossimo 10 giugno e durante la quale l’IA la farà sicuramente da padrone; ci sono già i primi teaser, ora non resta che aspettare.