L’IA on-device consumerà la batteria del vostro smartphone, che vi piaccia o no.

Nel 2025 è ormai chiaro il trend che punta alla sempre maggiore integrazione delle funzioni di intelligenza artificiale in locale nei nostri dispositivi, smartphone in primis. Bene per la privacy, meno per la durata della batteria: mentre i produttori si affrettano a progettare telefoni con batterie sempre più capienti, gli utenti dovranno stare attenti a non rimanere a piedi prima di sera.

Se leggete questo sito da qualche tempo saprete ormai quanto sia ossessionato dall’ottimizzazione del software per sfruttare al meglio le potenzialità dell’hardware. E per due buone ragioni: ottenere migliori prestazioni quando serve tutta la potenza disponibile; consumare meno risorse quando c’è una richiesta meno intensa in termini computazionali. Ma soprattutto saprete quanto sia intollerante verso i processi in background: certo, so che a volte sono utili, ma molto spesso non fanno altro che raccogliere dati e consumare risorse di sistema; il che mi dà la sensazione di non avere il controllo sul mio hardware.

Ora però l’elemento che consuma risorse in background è l’IA: e fa un sacco di cose utili – e altre inutili – ma quel che è certo è che non ce la toglierà nessuno nel prossimo futuro, piaccia o no. Intanto però, a prescindere dal fatto che le persone la usino, questa consuma risorse – e batteria – preziosi. Alla faccia di diceva che in futuro tutto sarebbe stato spostato in cloud.

A onor del vero, all’inizio di questo ciclo che ha portato i produttori a integrare sempre più in profondità l’IA negli smartphone, la gran parte di queste funzioni erano in realtà elaborate in cloud. La prima azienda tech a puntare forte sull’IA in locale come argomento di vendita per i suoi telefoni è stata Google, che con il Pixel 6 si è fatta parzialmente in casa, grazie anche alla collaborazione con Samsung, un chip, il Tensor, che per la prima volta ha messo la NPU, quell’unità dei SoC dedicata ai calcoli neurali, davanti alle prestazioni pure di CPU e GPU, consapevole che a tendere una maggiore potenza di questi due ultimi elementi sugli smartphone sarebbe stata superflua, soprattutto se comparata alla sempre più grande fame di potenza neurale per i modelli di machine learning (sì, all’epoca si parlava ancora di machine learning), sempre più usati e utili sui dispositivi mobili consumer. L’intero concetto si è sfaldato davanti al fatto che molte funzioni, in realtà, avevano comunque bisogno del cloud per funzionare, almeno parzialmente.

L’altro grande balzo verso una maggiore integrazione l’IA sui telefoni è avvenuto all’inizio del 2024 con il lancio da parte di Samsung della Galaxy AI sulla serie S24, proposta sul mercato come la prima vera famiglia di smartphone IA, ma con alcune precisazioni, ad esempio il fatto che comunque ancora molte funzioni si appoggiano al cloud, e soprattutto non è chiaro per quanto tempo ancora queste funzioni saranno gratuite: il cloud costa molto ai produttori, e senza un abbonamento mensile è difficile sostenerne i costi senza un aumento significativo dei listini dei telefoni. Samsung ha dichiarato di volerle mantenere gratuite il più a lungo possibile, ma è evidente che nemmeno lei sa per quanto riuscirà a onorare la promessa. Dopo aver lanciato una famiglia di telefoni flagship come i primi veri smartphone IA, è facile ipotizzare la reazione negativa dei clienti che si dovessero vedere negato l’accesso ad alcune di queste funzioni a meno di dover pagare un abbonamento, dopo aver investito una cifra non certo bassa per l’acquisto di un telefono top di gamma.

La serie S25 sposta, grazie al SoC più potente, alcune di queste funzioni in locale, ma continua ad avere una forte dipendenza verso il cloud. Lo stesso può dirsi per le funzioni di Apple Intelligence, che pur cercando ogniqualvolta sia possibile di girare in locale, anche per una questione di privacy tanto cara ad Apple, in moltissimi casi non possono fare a meno del cloud. Gli altri brand non sono in una situazione diversa.

Vediamo quindi che nonostante il ricorso al cloud sia sempre presente - e sia difficile farne a meno per una questione di prestazioni – le aziende tech stanno cercando di adottare un approccio ibrido, spostando sempre più funzioni in locale man mano che la potenza di calcolo dei SoC per smartphone cresce. Questo sta avvenendo, a detta dei produttori, per tutelare la privacy degli utenti e per ridurre la latenza delle risposte: questi argomenti sono veri, ma la verità è anche che le fatture per l’uso dei servizi di cloud computing che i produttori di smartphone devono pagare da quando è cominciata questa corsa all’IA sono sempre più salate, e se è possibile ridurne l’utilizzo ben venga. Se poi ci si mette Apple a legittimare il concetto che le funzioni IA devono girare on-device quando possibile, ci dobbiamo aspettare che tutti gli altri produttori come al solito seguano a ruota.

Tuttavia, spostare l’elaborazione IA in locale ha conseguenze negative tangibili per gli utenti, che vedono la durata della loro batteria ridursi non appena iniziano a usare queste funzioni: questo accade anche perché le NPU dotate di tanti TOPS sbandierate ultimamente non sono comunque sufficienti a garantire l’esecuzione in locale a velocità accettabile di molti modelli, e così diventa necessario usare la GPU, che è anche l’elemento del SoC che consuma più energia di tutti. Bene l’IA in locale, perché è spesso un valore aggiunto, ma se usarla significa rimanere a piedi a metà giornata è evidente che qualcosa non va.

Ecco quindi che il trend di quest’anno è diventato quello di vendere telefoni con batterie sempre più capienti. Eh sì, per la prima volta dopo anni nel 2025 le batterie dei telefoni hanno ripreso a crescere, e non di poco: ormai è sempre più comune trovare modelli con batterie che si spingono fino a 6.000 mAh, e a volte anche di più, con due casi celebri – l’iPhone 16e e il Pixel 9A – che testimoniano come i produttori abbiano preso di recente questa decisione: questi due telefoni, lanciati nel 2025 come modelli di ingresso di famiglie uscite nel 2024, hanno batterie in proporzione molto più capienti dei loro fratelli maggiori usciti solo qualche mese fa.

Mettere batterie più grosse sui telefoni non è però semplicissimo: sei nei due esempi citati sopra è stato relativamente facile, visto che le celle di partenza non erano enormi, su modelli che già oggi montano celle da 5.000 mAh e oltre diventa complicato aumentare la capacità con le batterie attuali senza ritrovarsi con telefoni pesanti e ingombranti. D’altra parte, nel tempo le dimensioni fisiche degli smartphone sono cresciute anche per fare spazio a batterie più grandi, salvo poi fermarsi alla dimensione attuale poiché se dovessero crescere ancora i telefoni non sarebbero più tascabili. È un dato di fatto che negli ultimi vent’anni il progresso nel campo delle batterie non ha seguito il ritmo di altri campi, come per esempio i semiconduttori. La densità di carica è aumentata mediamente di meno del 4% all’anno. Se c’è quindi oggi un elemento che da freno all’innovazione tecnologica nei dispositivi mobili, tra cui gli smartphone, questo è la batteria, la cui densità energetica in termini di energia contenuta per volume e peso è migliorata troppo lentamente: servirebbero progressi nel campo delle batterie per ovviare ai limiti delle dimensioni fisiche dei dispositivi, alla fine della legge di Moore e oggi all’uso crescente di modelli IA on-device. Sebbene esistano vari studi su materiali alternativi, potenzialmente molto più efficaci del litio nel conservare l’energia, si tratta per ora di progetti ben lungi dal poter trovare applicazione nei nostri telefoni. L’unica tecnologia che sta veramente prendendo piede negli ultimi tempi è quella delle batterie al silicio-carbonio, in cui la grafite è stata sostituita con il silicio, in grado di garantire una maggiore densità energetica. Non tutto è perfetto però: se queste batterie sono più capienti a parità di peso e volume rispetto a quelle tradizionali, soffrono di un più rapido degrado a causa della maggiore dilatazione e contrazione che subiscono nelle fasi di carica e scarica, sacrificando quindi potenzialmente una parte di longevità, già da sempre tallone d’Achille delle batterie, in favore di una maggiore capienza quando sono nuove, vantaggio che potrebbe essere presto vanificato dall’usura. Quello del potenziale degrado delle batterie al silicio-carbonio potrebbe essere uno dei motivi per cui Apple, Samsung e Google ancora non le hanno ancora adottate, al contrario dei produttori orientali che hanno subito pensato di implementarle come arma di marketing.

La soluzione al problema della durata della batteria non può però essere semplicemente quella di mettere una cella più grande sul telefono: questa soluzione può mitigare l’impatto dei modelli IA in locale, ma il loro consumo energetico è così elevato che l’unica soluzione sarebbe non usarli. O usare il cloud. Poiché è chiara l’intenzione dei produttori di spostare per quanto possibile l’elaborazione dei modelli in locale, gli utenti dovranno essere consapevoli: usiamo pure i modelli quando sono utili, lasciamoli da parte quando il loro utilizzo non è così fondamentale; la nostra batteria ringrazierà.

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