Da Davide a Golia: il problema di immagine di Apple

Apple

Think different. Think crisis.

Apple ha un problema di immagine, chi lo nega non sa di cosa sta parlando.

Non è certo la prima volta, del resto capita in tutte le aziende di tanto in tanto, ma in questo caso il problema è più strutturale che contingente, perché ad essere messo in discussione non è un prodotto o una strategia temporanea, ma l’intera azienda e la sua stessa filosofia. Insomma, una situazione che in tempi di recessione del mercato tech proprio non ci voleva.

I segnali però c’erano da tempo: evidentemente ignorarli non è stata una buona idea. D’altra parte la posizione dell’opinione pubblica - anzi, persino di alcuni appassionati del brand - è stata molto negativa ultimamente. Non sto parlando solo della classica lamentela del tipo “Apple non sa più innovare”, che di vero ha poco, ma della questione dell’App Store - che secondo più parti sarebbe un monopolio che con le commissioni ha rovinato gli sviluppatori indie e i piccoli creativi - e della diatriba su Facetime e iMessage, servizi di comunicazione disponibili solo sui dispositivi Apple, che soprattutto negli Stati Uniti bloccano gli utenti all’interno del giardino della Mela, creando disagi sociali soprattutto tra i ceti più svantaggiati, che non possono permettersi un iPhone.

Ecco, proprio questo è il punto: oggi Apple viene percepita dall’opinione pubblica come un mostro, un gigante senza scrupoli che pensa solo al profitto, quanto di più distante ci possa essere dall’idea dei ribelli innovatori che pensano in modo diverso, inculcata con grande pazienza nel pubblico alla fine degli anni ’90 per risollevare le sorti della società. Oggi i prodotti della Mela non sono più visti come strumenti per persone creative che vogliono cambiare il mondo, ma come giocattoli di lusso per chi vuol sfoggiare la sua ricchezza o vuol sfoggiarne una che non ha ma che cerca di assaporare per un po’ acquistando un dispositivo con quell’iconico logo sul retro.

Ora, poiché l’opinione pubblica non si forma d sé, è interessante esplorare le cause di questo problema per capire come sia possibile alla Apple, da essere visti come ribelli e innovatori, siano passati ad essere percepiti oggi come il lato peggiore dell’establishment, o che, per usare una metafora politica, da sinistra siano passati a destra.

Beh, è inutile dire che gran parte della colpa proviene dall’interno. Un grave errore, per esempio, è stato quello di sostituire la fidelizzazione del cliente, basata sulla fiducia, con la customer retention, basata sulla difficoltà, artificialmente creata, per l’utente nel passare a una piattaforma concorrente. L’altro errore è stato quello di mettere l’innovazione tecnologica in secondo piano rispetto al profitto e agli interessi degli azionisti: questi ultimi sono sacrosanti, tuttavia realizzare prodotti sempre uguali, senza mai prendersi rischi nel cambiare le cose, solo per avere la tranquillità di non incidere negativamente sulle vendite delle trimestrali non è stata la ricetta giusta, e non la sarà mai, per spingere un’azienda che basa la sua esistenza sull’innovazione tecnologica e sul valore aggiunto che questa produce per i suoi clienti.

Un cambio di paradigma – quello descritto sopra - avvenuto sotto l’amministrazione Cook: Tim Cook è bravissimo a gestire un’azienda, e sotto la sua gestione Apple ha realizzato dei prodotti stupendi e dei profitti alle stelle, ma non ha sempre saputo suscitare stupore: quel ruolo è stato occupato da altri produttori, soprattutto orientali, che invece non hanno avuto paura di osare e, ovviamente, di sbagliare nel mentre. Del resto, Tim Cook è un freddo ingegnere e un razionale calcolatore, e da un punto di vista razionale ha sempre fatto la cosa giusta durante il suo mandato; eppure così facendo ha creato malcontento tra gli utenti fedeli, che si aspettavano prodotti magari non rifiniti come quelli attuali, ma certamente più innovativi. E in fin dei conti questa situazione si può tranquillamente inserire nella classica diatriba tra umanisti e scienziati, tra razionalità e intuito: ma in verità si tratta di una diatriba insensata, perché i migliori prodotti nascono dall’unione dei due elementi: oggi nei prodotti Apple manca la componente umanistica e intuitiva.

Non è un caso che nel 2019 Jony Ive, il famoso designer che ha lasciato la sua impronta per due decenni in tutto quello che ha fatto l’azienda, abbia deciso di andarsene, forse perché scontento della direzione presa e della funzione puramente estetica e visiva che aveva iniziato ad assumere il design dei prodotti. Non che il design fosse un aspetto trascurato, anzi, semmai era stato messo in primo piano nel modo sbagliato, perché usato come un mero strumento di marketing per attirare l’attenzione del consumatore, e non come uno strumento profondo e filosofico per definire l’essenza di un prodotto.

E il prodotto simbolo di questo declino nella percezione da parte dell’opinione pubblica è stato proprio quello che oggi è oggettivamente il prodotto principe di Apple: l’iPhone. L’iPhone oggi rappresenta una quota tra il 50 e il 60 % dei ricavi trimestrali dell’azienda, una cifra pericolosamente alta, anche perché è possibile ragionevolmente affermare che la gran parte dei ricavi originati dagli altri prodotti, compresi persino in buona parte quelli del Mac, sono da imputare indirettamente all’iPhone, che fa da traino. Al punto che, come affermato da Mark Gurman su uno degli ultimi numeri di Power On, Apple potrebbe benissimo chiamarsi oggi iPhone Inc.

 Se da un punto di vista finanziario questo non è affatto un dato positivo, perché rende l’azienda vulnerabile, dal punto di vista dell’immagine lo è ancora meno, perché, più di tutti gli altri attuali prodotti di Apple, l’iPhone è visto come quello per le masse e per coloro i quali vogliono solo mettere in mostra un oggetto costoso, non certo per creativi e ribelli. I quali ormai rifuggono dai prodotti della Mela, troppo avvelenata dalla ricchezza e dalla frivola moda per essere attrattiva per loro. Così Apple sta perdendo il suo pubblico di fedelissimi per rincorrere le masse. Se con le masse si fano molti più profitti, tuttavia, queste non restano fedeli nei periodi di difficoltà, e di conseguenza l’attuale strategia si potrebbe rivelare un’arma a doppio taglio, che potrebbe avere conseguenze negative in futuro anche sul conto profitti e perdite.

Aver costruito il presente e forse anche il futuro dell’azienda su un unico prodotto che oggi è diventato una commodity è un grosso rischio, che potrebbe manifestarsi nel momento in cui questa commodity diventerà irrilevante e non sarà stato ancora trovato, per eccesso di prudenza, un prodotto che possa veramente dirsi un degno erede dell’iPhone.

E per chiudere, una riflessione sull’aspetto umano della questione, giusto per ricordare che dietro a ogni azienda e a ogni prodotto ci sono le persone: mai come negli ultimi anni Apple ha assistito a una tale fuga di talenti e a una tale difficoltà nel reperirne di nuovi. Non si tratta solo di figure di medio livello, ma persino di top manager e di membri del CDA, in cui l’età media ha raggiunto la ragguardevole cifra di 75 anni. Può un’azienda che dovrebbe essere ribelle e innovativa essere così a corto di giovani brillanti?

La storia insegna che nessun impero è per sempre.

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